Usando una metafora potremmo dire che il più delle volte chi dirige un’azienda o un reparto si comporta come un autista che debba fare lunghi viaggi ma che sia convinto di essere il solo a saper guidare o a conoscere la strada.
In effetti il più delle volte è proprio così. Chi più di lui conosce le cose o possiede quella abilità nell’ottenere risultati in tempi rapidi?
Eppure, ci sarà un momento cruciale in cui dovrà necessariamente lasciare il posto di guida del suo veicolo a qualcun altro. Potrebbe capitare che questa persona non sappia neppure guidare, ovvero che gli manchino persino le basi relative a quel lavoro (pensiamo al primo impiego di un ragazzo appena uscito dalla scuola). In questo caso il problema principale sarà fargli un po’ di scuola guida, senza arrabbiarsi se ogni tanto l’auto si spegne o se non va veloce quanto noi.
Cos’è la Leadership? E’ sufficiente leggere la miriade di testi dedicati all’argomento per capire che in realtà non esiste un unico modello di Leadership valido per tutti o per ogni circostanza. Sembra essere più che altro una caratteristica che varia, che si trasforma e che a volte contraddice se stessa. I grandi Guru internazionali ci forniscono modelli di Leadership spesso basati su studi che riguardano grandi aziende e multinazionali, dimenticandosi di spiegare cosa invece dovrebbero fare i piccoli o medi imprenditori che, almeno qui in Italia, tengono davvero in piedi l’economia. Cercheremo quindi di coniugare i concetti esposti da chi ha analizzato i grandi Leader, con le esigenze pratiche di un imprenditore a capo di una PMI.
Punto 1. Perché è utile avere Leadership in una PMI?
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“Se non ci fossi io qui a fare le cose tutto andrebbe a rotoli“.
E’ una delle frasi più frequenti nella bocca (o nella testa) degli imprenditori. In genere sta a significare che vorrebbero delegare, ma che in realtà tutto gravita inevitabilmente attorno a loro.
Per invertire questo pericoloso meccanismo, in cui il titolare diventa sovraccarico ed i collaboratori frustrati, serve in genere molto tempo ed influiranno numerosi fattori, tra cui:
– La qualità delle persone attualmente presenti in azienda
– La vera volontà dell’imprenditore di non essere più “indispensabile”
– L’inserimento di qualche nuovo collaboratore molto valido
Questo è uno dei momenti più difficili per un’azienda, soprattutto quando parliamo di PMI: il passaggio generazionale (da padre a figlio o in generale dalle mani di chi ha creato l’impresa a chi la dovrà portare avanti) di solito mette in luce tutti i limiti e le debolezze dell’azienda stessa.
Generalizzando potremmo dire che i casi possono essere due:
1- Titolare abile, ma fortemente accentratore, che negli anni ha creato sotto di sé una sorta di vuoto, sia in termini di responsabilità che in termini di conoscenza. La seconda generazione tende ad essere in questo caso piuttosto insicura e vacillante, confermando al titolare che l’unica possibilità per tenere in vita l’azienda è rimanerci dentro finché le forze e la salute lo assisteranno.
2- Titolare in difficoltà ma che non vuole lasciare le redini dell’azienda alla nuova generazione, sebbene ne abbiano le competenze e capacità. In questo caso si crea solo una lotta tra due forze che si equivalgono e che porta comunque a gravi danni sia economici che produttivi (provate a legare due cavalli con una corda e a farli andare in direzioni opposte e vedrete l’immobilismo completo).