Quante volte sarà capitato di chiedersi: “Chissà come si comportano i miei collaboratori quando nessuno li osserva…”. Non per mancanza di fiducia, ma semplicemente per osservare in che cosa li si potrebbe aiutare o correggere senza demotivarli o farli sentire sbagliati.
Per ovviare a tutto questo si sta diffondendo ultimamente un servizio molto utile, chiamato “Mystery Client” (o Mystery Shopper). Il Cliente Misterioso, come dice la parola stessa, è un professionista che finge di essere un cliente (o un potenziale cliente) per osservare determinati fattori concordati con il titolare dell’azienda.
Di solito gli aspetti più interessanti su cui ci si sofferma sono:
Quando parliamo di marketing vi sono da fare delle distinzioni molto importanti, a seconda che ci si rivolga a clienti già attivi piuttosto che a potenziali clienti.
Un’attività poco diffusa è per esempio quella di raccogliere ed utilizzare i nominativi dei clienti che in passato hanno già utilizzato i nostri servizi. Questa “banca dati” rappresenta una vera e propria miniera d’oro che, se ben sfruttata, darebbe immediati ritorni a fronte di investimenti minimi.
Per esempio è stato studiato che semplicemente contattando tramite mail o sms tutti i clienti della banca dati il fatturato di un professionista aumenta in media del 15% nei successivi tre mesi.
Il grande esperto di vendite Jeffrey Gitomer sostiene che “se fai domande intelligenti, capiranno che sei intelligente, se fai domande stupide…“.
Osservazione perfetta nella sua semplicità, al punto da apparire stupida!
Ma per comprendere al meglio la differenza tra i due tipi di domande, cominciamo a soffermarci su alcune della categoria “stupide“:
1. “Mi può parlare un pò della sua azienda?” oppure “Come sta andando il suo settore?“. E’ una totale perdita di tempo per il cliente. Il tuo compito è scoprire questo tipo di informazioni prima che lui ti riceva, perchè ti ha dato appuntamento per ottenre da te proposte, idee, soluzioni e non per raccontarti un pò di sè o della sua azienda. Ottimo inizio!
Molto spesso le riunioni sono viste dai venditori (e di riflesso anche dai direttori vendite) come delle attività quasi superflue, come se rappresentassero delle pause coercitive: da alcuni quindi gradite per il “relax da ufficio” che tutto sommato regalano; da altri invece vissute solo come un tortura rispetto al benessere che si prova a star fuori all’aria aperta, oppure con i clienti, a fare qualcosa di “realmente produttivo”.
Questo è il caro prezzo da pagare da parte di chi deve tenere delle riunioni, senza soffermarsi sufficientemente su tutti gli strumenti in grado di trasformarle in opportunità di partecipazione, di reale produttività e di ricarica mentale. Per raggiungere questo scopo, ogni incontro dovrebbe basarsi su una struttura ben delineata e mai lasciata al caso, del tipo: “Incontriamoci e poi vediamo cosa succede: qualcosa ne verrà fuori”.
Dovrà, inoltre, essere comprensiva di almeno cinque ingredienti fondamentali.
Ormai si è tutti concordi nel ritenere che l’efficacia nella vendita, così come nella comunicazione in generale, è determinata in massima parte dall’interesse che si riesce sinceramente a nutrire verso il proprio interlocutore, ponendo il massimo ascolto su ciò che lui dice piuttosto che su ciò che si vuol vendere.
Cosa apparentemente semplice, ma al contrario molto molto complessa o meglio poco naturale e spontanea per noi essere umani.
E facendo riferimento ad alcuni importanti studi effettuati dall’Università di Amburgo negli anni ’80, possiamo comprenderne più approfonditamente i motivi.
Infatti lo psicologo Friedemann Schulz von Thun ha validamente proposto quattro diverse dimensioni della comunicazione (rappresentate come 4 lati di un quadrato):